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Quando senti di volerti arrendere: 3 consigli per combattere il senso di impotenza appresa

Credo sia la prima volta che scriva riguardo questa sensazione. Lo spunto me l’ha dato una lettrice della mia pagina che qualche giorno fa, rispondendo ad un mio post mi ha scritto:”Salve ho letto proprio ora il suo post sullo sconforto e di non mollare. Io sono una di quelle che sta mollando“.
Immediatamente la mia mente è ritornata ad una sensazione letta e vissuta molte volte, quella sensazione che proviamo quando abbiamo l’impressione (ed a volte succede davvero) che nessuna cosa che stiamo facendo abbia un reale effetto su quello che sta accadendo nella nostra vita.

Una sensazione che ho vissuto, come dicevo, anche io molte volte. Ad esempio durante il periodo post-laurea, quando sembrava che mi impegnassi e lavorassi alacremente senza vederne mai i risultati, durante il mio periodo all’estero, quando sembrava che per quanto mi sforzassi non riuscissi a capire il modo diverso di lavorare degli scozzesi, quando ero più piccolo con la malattia dei miei nonni prima che morissero, quando cioè credevo di poter curare con un abbraccio o di recente con il percorso di malattia del mio cagnolino che ci ha lasciati meno di un anno fa. Persino quando ero alla ricerca di una compagna sembrava non ne uscisse nulla. Insomma ho cominciato a pensare a tutte quelle volte in cui mi sono sentito impotente, a tutte le volte in cui ho avuto la netta sensazione che per quanto provassi a trovare soluzioni ad un problema, in realtà non riuscissi a risolverlo mai. Per darvi una immagine più chiara, come se tutto quello che facessi fosse sbattere la testa contro un muro che alla fine non si muoveva mai dalla sua posizione.

Queste sensazioni di cui vi sto parlando, provate e studiate, hanno un nome. Quel senso di mancanza di potere nel cambiare le cose possiamo chiamarlo senso di impotenza appresa (o in inglese learned helplessness).

 

Come apprendiamo il sentirci impotenti?

Nel 1967, un importante ricercatore Martin Seligman (ricercatore nel campo della depressione e padre fondatore della psicologia positiva), decise di condurre un esperimento molto singolare sulla depressione utilizzando dei cani. Lo studioso, in un primo momento, prese dei cani e li mise in una gabbia che aveva due lati separati da un semplice muretto. Uno dei lati della gabbia era elettrificato e la sua accensione portava i poveri animali a saltare dall’altra parte della gabbia per evitare e sfuggire allo shock elettrico. Successivamente, Seligman prese un altro gruppo di cani e li sottopose ad un altra condizione: ogni cane veniva legato alla gabbia elettrificata senza possibilità di sfuggire. All’inizio dell’esperimento i poveri animali. cagnolini cominciarono a saltare, ma essendo legati non potevano sfuggire allo shock. Mentre il primo gruppo di cagnolini aveva imparato a sfuggire all’evento doloroso (la scossa elettrica) saltando il muretto, il secondo gruppo aveva imparato che non c’era possibilità di sfuggire allo stesso evento nonostante gli innumerevoli tentativi. Infatti, quando quest’ultimo gruppo di cani fu inserito nella gabbia che dava loro la possibilità di saltare e scappare dallo shock elettrico doloroso,  piuttosto che scappare si misero sdraiati in maniera passiva senza nemmeno tentare di fuggire al dolore. Ciò che gli studiosi osservarono, era che i cani avevano imparato che nulla di tutto ciò che potevano fare avrebbe potuto permettergli di sfuggire a quel dolore. L’avevano imparato così bene da non provare nemmeno a scappare, anzi da rinunciarci del tutto.
È ovvio che ci siano grossi problemi etici in questo studio e un amante degli animali come me si sente male al sol pensiero che dei cani possano essere stati colpiti da scosse elettriche in nome della scienza. Se riusciamo per un attimo a mettere da parte il fastidio che proviamo, possiamo capire meglio cosa questo studio di Seligman può dirci. Questo studio ci dice che la vita (intesa come l’insieme degli eventi che si susseguono e che compongono la nostra personale ed unica storia) può insegnarci che siamo inefficaci e che i nostri comportamenti non avranno alcun effetto su ciò che accadrà in futuro. Il problema è che quando impari questa lezione, così come osservato nell’esperimento, molto spesso impari anche a smettere di provarci. Ecco questa cosa la chiamiamo impotenza appresa.

Impotenza appresa e depressione

L’impotenza appresa è molto spesso associata alla depressione. Difatti descrive quella sensazione tipica di una persona che rinuncia a provare e ad avere un impatto sul mondo e a cambiare lo stato di cose. L’impotenza appresa abbatte il sentimento di speranza ed il sentirsi orientati verso uno scopo, spesso ti demotiva e ti da la sensazione di sentirsi bloccati e di non avere via d’uscita. Come se si fosse caduti in un buco in cui di sicuro è difficile uscirne, ma da cui ad uscirne non ci si prova nemmeno. Specialmente se non proviamo nemmeno ad alzarci da terra. Quindi l’impotenza appresa è spesso associata alla depressione. Ma vi dirò di più. E’ spesso l’impotenza appresa stessa a mantenerla. Un vortice vizioso in cui tanto più ci si sente impotenti, tanto più ci si ritira dalla possibilità di cambiare la propria condizione, trovare nuovi obiettivi, risollevarsi.
Quindi cosa fare una volta che ho riconosciuto questa sensazione di voler mollare tutto?

3 piccoli consigli per superare l’impotenza appresa e motivarsi al cambiamento

Ecco tre piccoli consigli che credo possano servire a trovare nuove motivazioni e a risollevarci:

  1. Il primo è quello di non accettare quel senso di inaiutabilità e di impotenza appresa, di continuare a provarci a dispetto di tutte le condizioni e cose brutte che ci stanno accadendo o che ci sono accadute nel corso della nostra vita. Spesso può capitare, quando le cose vanno davvero male, di pensare che il fato abbia deciso di tirarci un brutto scherzo, che forse ce lo meritiamo così brutto e cattivo, che per questo non ne usciremo mai. Ecco accettare questa credenza, pensare semplicemente di essere destinati ad una vita terribile, secondo me non ci aiuta ad andare da nessuna parte, anzi ci fa rimanere immobili. Per cambiare c’è bisogno di avere fiducia e un pò di sano ottimismo.
  2. Il secondo consiglio è quello di provare a cambiare i nostri pensieri rispetto a quella determinata sensazione. Se continuiamo a pensare che le cose non cambieranno mai, non ci proveremo neanche a cambiare. Quindi nel caso in cui riconoscete pensieri del tipo “No, non posso farlo”, oppure “Non c’è assolutamente niente che io possa fare per cambiare”, provate a cambiarli con pensieri del tipo “Posso almeno provarci”, oppure “Probabilmente non funzionerà, ma alla fine posso provarci”.
  3. Il terzo ed ultimo consiglio che mi sento di dare è di non smettere di provarci e riprovarci sempre. Una volta che decidiamo di provare a cambiare, di individuare una soluzione ad alcuni problemi della nostra vita, non dobbiamo smettere di provarci, anche nel caso in cui la prima soluzione che individuiamo non dovesse funzionare subito.

Per concludere

Per concludere, la sensazione di sentirsi impotenti, di cominciare a pensare di non poterne uscire più fuori, di voler mollare tutto, di non poter cambiare e soprattutto di non poter essere in ogni caso aiutati, ha un nome e si chiama impotenza appresa. Riconoscere questa sensazione e cominciare a cambiarla con atteggiamenti diversi è il primo passo per motivarsi a raggiungere un cambiamento e rialzarsi dalle difficoltà. I 3 consigli possono anche essere visti come un allenamento a sviluppare capacità “resilienti”.
Ovviamente, visto che tale sensazione si associa molto spesso alla depressione, nel caso in cui non dovessimo riuscire da soli a cambiare questo atteggiamento, è importante rivolgersi ad un professionista (psicologo, psicoterapeuta o psichiatra) che valuti l’entità dei sintomi e accompagni in un percorso di guarigione. A volte cominciare un percorso personale rappresenta una presa di coscienza ed un atto di coraggio incommensurabile. Nel caso in cui non sei tu a sentirti impotente, ma osservi che una persona a te cara sta sperimentando queste sensazioni e sei preoccupata per lei ma non sai come dirglielo, ti consiglio di leggere qui per approfondire come convincere una persona cara a ricevere una consulenza psicologica.
Non bisognerebbe arrendersi mai. Se ci dovesse capitare però di sentirci come quei poveri cagnolini che non si ribellavano alle scariche elettriche, cominciamoci a dirci che, come diceva Jim Morrison, anche “quando pensiamo che tutto sia finito, è quello il momento in cui tutto ha inizio“.

 

1 Comment

  • Stefania

    Vivo questa sensazione da anni e sono contenta che qualcuno ne parli, è una sensazione di inadeguatezza, di paralisi e avvilimento, verso se stessi e verso gli altri, soprattutto se gli altri sono amici e magari amici che si sono realizzati….

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